Il raku è una cottura di origine giapponese (XVI sec.) la cui peculiarità consiste nell’estrazione tra i 900° ed i 1000° del pezzo smaltato dal forno (in fase di seconda cottura).
Una volta estratto, il manufatto viene sottoposto a combustione e riduzione d’ossigeno tramite l’uso di segatura o altri elementi (quali carta di giornale, foglie secche o altro ancora). Quest’ultimo passaggio (introdotto dai ceramisti americani nel XX sec.) permette di ottenere sorprendenti effetti cromatici, grazie alla presenza di ossidi e nitrati contenuti negli smalti, ma consente eventualmente di mettere anche in risalto il craquelé (cavillatura) che si forma sulla superficie degli smalti stessi.
Nel corso degli ultimi decenni, grazie agli esperimenti di un ceramista inglese, è nato il Naked Raku, o raku nudo che, con poche variazione alla cottura raku, consente di ottenere oggetti raffinati e preziosi, ma privi di smalti, “nudi” appunto.
Prima della biscottatura (termine con cui si indica la prima cottura), il pezzo viene accuratamente steccato poi, una volta biscottato, verrà trattato con una copertura vetrosa che fa da barriera protettiva durante la riduzione raku e che a fine cottura viene staccata grazie a particolari procedimenti. A questo punto l’argilla torna ad essere nuda.
Per finire, il pezzo viene accuratamente pulito e la sua superficie risulterà così decorata e abbellita da giochi di fumo, craquelè e disegni che eventualmente vorremo fare.
Io personalmente amo combinare le due tecniche, con un procedimento particolarmente meticoloso, che dà comunque risultati decisamente soddisfacenti.